18.4.07

 
Fonte: La Stampa.it
Nanomondograndi immagini
Sembrano paesaggi fiabeschi i grumi di molecole fotografati da Lucia Covi
Montagne con picchi che si avvolgono a spirale, canyon vertiginosi, piramidi dalla cima mozza, dune serpeggianti, cascate di ghiaccio, labirinti di impressionante regolarità. Sono immagini che sembrano riprodurre paesaggi fiabeschi. Non è così. In realtà rappresentano molecole, grumi di molecole. Le ha scelte e interpretate lo sguardo di Lucia Covi, fotografa che sa unire estetica e spunti scientifici, in questo caso forniti dall’Istituto nazionale di fisica della materia di Modena. La mostra, «Blow-up. Immagini dal nanomondo» è aperta da ieri a Torino, alla Cavallerizza, ingresso libero. Un tuffo nella bellezza se si guarda a forme e colori. Ma anche nelle nanotecnologie: per questo l’associazione CentroScienza ne ha fatto un tassello delle «Settimane della scienza» torinesi.Proviamo a farci un’idea delle dimensioni di questo nanomondo, qui scrutato con microscopi elettronici a scansione e altri strumenti ancora più avanzati. L’unità di misura è il nanometro, cioè il milionesimo di millimetro. Difficile da immaginare. Diciamo, per capirci, che il diametro del punto che chiude questa frase misura alcuni milioni di nanometri. È la scala delle molecole. In una goccia d’acqua sono contenute tante molecole che se ne potrebbero dare 200 miliardi a ognuno dei 6,5 miliardi di abitanti della Terra. In ogni nostra cellula c’è una molecola di Dna: la larghezza della sua doppia elica è tipica del nanomondo (ma se srotolassimo quella molecola con i suoi trentamila geni che ci fanno uomini scopriremmo che è lunga due metri!). Gli oggetti di enigmatica bellezza rappresentati nelle 70-80 foto di «Blow-up» sono così piccoli da essere inaccessibili alla luce. Per vederli occorre illuminarli con fasci di elettroni o ricorrere a tecniche sofisticate basate sull’effetto tunnel. Eppure il nostro mondo macroscopico si regge su quelle minuscole strutture, che oggi gli scienziati hanno imparato a manipolare. Le nanotecnologie promettono farmaci che penetrano direttamente nelle cellule malate, computer di inaudita potenza, robot e macchine invisibili. Introdotte da un filmato di raffinata computer-grafica, tre sono le sezioni della mostra. Nella prima si parte dal visibile per giungere a microstrutture rivelate dal microscopio a scansione. È l’approccio top-down, dall’alto al basso. La seconda sezione segue il processo inverso: dal basso all’alto. Il più promettente. Vincenzo Balzani, dell’Università di Bologna, manipolando molecole è già riuscito a costruire un nanoascensore, una nanoprolunga elettrica e un nanomotore che gira migliaia di volte più velocemente di un motore Ferrari. La terza sezione mostra molecole in prevalenza biologiche - proteine, Dna - che possiamo considerare come altrettante nanomacchine naturali. Il «mattone» delle nanotecnologie è il fullerene, una molecola costituita da 60 atomi di carbonio disposte in modo da formare un minuscolo pallone da calcio. La scoprì negli Anni 80 Harold Kroto osservando una stella con un radiotelescopio e ci guadagnò il Nobel per la chimica. Ma la prima idea delle nanotecnologie risale al fisico americano Richard Feynman, premio Nobel per la teoria dell’elettrodinamica quantistica. Nel 1959 tenne una conferenza intitolata “Laggiù c’è un sacco di posto”. Laggiù: cioè tra gli atomi e le molecole. La profezia di Feynman sta diventando realtà. Anche artistica.
Harold Kroto - Molecole su misura - C60, il supermodello molecolare - Di Renzo Editore

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